La conoscenza, come dimostrato anche da diversi studi, aiuta a creare team di lavoro più innovativi, creativi e performanti. In due parole, più competitivi.

La ragione è semplice: un miglioramento nel know-how permette alle persone di lavorare più efficacemente, grazie ai giusti strumenti di lettura delle situazioni e di gestione delle problematiche.

Le barriere al knowledge management

Non sempre le informazioni viaggiano fluidamente tra le persone e i reparti: esistono fattori culturali, operativi e personali che possono bloccare la condivisione con effetti nel tempo anche molto seri.

Ecco alcuni esempi molto frequenti.

Mancanza di pensiero strategico da parte dell’azienda

Invitare un esperto di tanto in tanto oppure organizzare un brainstorming una volta all’anno non sono azioni sufficientemente utili: lo sono solo nel breve periodo, ad esempio, per corsi di aggiornamento o implementazione di nuovi software.

La condivisione delle conoscenze dev’essere un fattore culturale, incoraggiato dal management come valore, senza che diventi una semplice costrizione (con il possibile risultato contrario).

Mancanza di tempo

Quando le persone sono sottoposte a un sovraccarico di lavoro è difficile che si fermino per parlare dei progetti in essere o per aiutarsi l’un l’altro. Si tratta in realtà di un grave errore: la condivisione continua, come anticipato in apertura, permette di rendere il lavoro di tutti più efficiente.

Knowledge hoarding

“Accaparrarsi”, “accumulare” e “nascondere” le informazioni (non esiste una traduzione esatta del termine inglese hoarding) sono, purtroppo, pratiche abbastanza frequenti nel mondo del lavoro, soprattutto in ambienti molto competitivi.

Questo fenomeno si sviluppa soprattutto negli individui che vogliono rendersi indispensabili al team per migliorare il proprio status aziendale o ricevere incentivi economici. Non solo: si tratta di un modus operandi tipico anche delle persone insicure del proprio posto di lavoro, per carenza di competenze, insicurezza o volatilità del mercato.

Oltre a creare inefficienze, questo genere di comportamento è lesivo anche in termini relazionali e crea, nella maggior parte dei casi, ostilità tra i collaboratori. Le Risorse Umane devono tenere monitorate situazioni simili, in grado di provocare ingenti danni nel tempo.

Affidamento sempre sui “soliti noti”

Non so qualcosa? Lo chiedo a lui. Non so fare qualcos’altro? Lo chiedo a lei. La pigrizia (intellettuale) è un comportamento tossico, che richiede provvedimenti immediati da parte del management.

Non solo impedisce la crescita professionale di chi si appoggia agli altri, ma fa perdere tempo prezioso a chi deve rispondere.

3 modi per migliorare la condivisione delle conoscenze in azienda

  1. Incentivare la creazione di documenti consultabili
    Creare, archiviare, condividere e ricevere un vantaggio: spesso il giusto incentivo ha più potere della costrizione. Perché non applicare questa teoria anche al knowledge management? Premiare i collaboratori che creano documenti utili ai propri colleghi (guide, mini-video esplicativi, collezioni di risorse utili) può creare in breve tempo un circolo virtuoso.
  2. Dare il buon esempio (dall’alto)
    I leader devono essere i primi a condividere le proprie conoscenze, attraverso conversazioni quotidiane e momenti dedicati. In molte aziende si utilizzano le pratiche di tutoring: dipendenti con maggiore anzianità affiancano le risorse più giovani, fornendo informazioni preziose acquisite con l’esperienza (e non sui libri).
  3. Ascoltare e controllare
    Come anticipato, alcune barriere alla condivisione arrivano da comportamenti negativi dei singoli individui. È compito dei manager (e delle Risorse Umane) monitorare i team costantemente e accertarsi della situazione in caso di segnalazioni da parte dei collaboratori.

“Sapere è potere”, ma solo se le conoscenze sono gestite nel modo giusto.

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